07-2019

Ore sei del mattino, siamo già in auto con gli zaini nel bagagliaio, direzione val Tramontina, più precisamente lago del Ciul. Dopo le due piovose gallerie che collegano il lago di Selva con il lago del Ciul, parcheggiamo sulla diga e partiamo. Siamo pieni di entusiasmo perché un po’ immaginiamo cosa ci attende… In un attimo siamo  alla passerella sospesa sul  Canale Grande di Meduna, il mio amico è davanti a me sulla passerella, non si accorge che io cerco di farla oscillare e inizia a brontolare, imprecare e a reggersi sulle corde laterali, da dietro io come un ragazzino me la rido senza farmi sentire. Passati oltre svoltiamo a sinistra e iniziamo a salire ripidamente il bosco per poi scendere giù nei pressi dei ruderi del borgo Selis. Entriamo nel Canale Piccolo di Meduna, tra continui saliscendi arriviamo sulla cima del monte Collina Bassa, lo attraversiamo sfiorando una grande parete con varie stratificazioni rocciose di vari colori, tanto che alla base ci sembrava neve invece era roccia bianco candido. Scendiamo zigzagando il ripido pendio, il paesaggio  se non fosse per gli alberi parrebbe lunare. Continuiamo a scendere fino al rio del Clapon che scende dal Canale del Vuàr, e si innesta nel Meduna, qui la sosta è un obbligo, acqua da tutte le parti e da tutti i lati siamo circondati da aspre montagne, spicca tra tutte in lontananza il Dosaip con il suo mantello bianco, giriamo su noi stessi per ammirare quello che i nostri occhi possono catturare, è un luogo che pare incantato, probabilmente è la confluenza dei due rii che mescolandosi l’un l’altro creano un energia particolare dando qualcosa di speciale al luogo. Saltellando sui sassi raggiungiamo la  sponda opposta e in breve arriviamo sul bel pianoro di Pineit, un posto perfetto per le Agane, sicuramente lo utilizzano nelle notti di luna piena dove in cerchio si mettono a danzare e cantare. Oltrepassato anche questo ricominciamo a salire per arrivare a La Costa Pluma e Le Ponte. Da qui in poi si comincia ripidamente e senza soste a salire fino a una forcella, la salita’  è bella tosta, tutta un tiro e con tratti esposti, il terreno è scivoloso, causa la ripidezza, lo spessore di foglie che coprono quella minima parvenza di sentiero, è davvero un luogo selvaggio, anche l’erba vecchia, quella dell’estate passata ormai secca ci mette del suo per nasconderci la via più semplice per risalire. Mi fermo spesso a guardarmi in torno, siamo in mezzo alla natura, quella vera, quella natura che ti fa pensare:  “guardami ma attento a come ti muovi qui siamo soli io e te e tu non sei nessuno a confronto mio… Rispettami” Da molte ore il cellulare segna nessun servizio, questo non fa altro che aumentare la nostra attenzione. Mentre il mio amico è rimasto un po’ indietro scorgo tra i rovi a qualche metro da me due cervi, ci guardiamo, non so chi dei tre è più stupito se io o se loro due, probabilmente loro visto le scarse presenze umane in zona, di sicuro si saranno chiesti cosa ci facessi li, lentamente tolgo lo zaino devo prendere la macchina fotografica, “vi prego signori cervi fatevi fotografare, state fermi un attimo altrimenti nessuno mi crederà che ci siamo incontrati”. Ovviamente a questa mia richiesta i due si sono voltati dandomi le spalle e muovendo velocemente la coda in segno di saluto con quattro salti son spariti, lasciandomi a bocca aperta con la custodia tra le mani, che rabbia però, ma va bene così. Da qui in leggera discesa  attraversando numerosi ruscelli con acqua gelida si arriva alla base della forcella di Caserata. Il sole lascia spazio alle nuvole e a un po’ di foschia poi ritorna e tutto splende è una giornata un po’ così, un alternarsi tra foschia e sereno, meglio così, anche il tempo fa del suo per rendere magico e incantato questo posto. Pausa riflessiva sul da farsi, sono già molte ore che siamo in questa zona impervia, decidiamo a malincuore di ritornare indietro. Tutto bene fino alla ripida forcella, poi la discesa per il mio amico è tragicomica, ho perso il conto delle scivolate che ha fatto, in una è riuscito a piegare in due le bacchette, sarà brutto da dire ma mi spanciavo dalle risate. Questo per far capire quanto era ripido e impervio ma non pericoloso, in certi punti bisognava prestare molta attenzione, soprattutto negli esili traversi coperti dalla vegetazione. Finalmente arriviamo al rio del Clapon, noto un bel sasso quadrato e piatto, mi avvicino e magicamente dal mio zaino estraggo un tagliere, una pitina, due belle fette di polenta e una bottiglia di refosco, non contento da una scatola protettiva prendo due calici in vetro. “Tu sei matto mi dice, cosa vorresti fare adesso”. Gli spiego che per me è un gesto antico di quella valle e io lo voglio riproporre come se fosse un rito, ricordando così chi ci è vissuto e adesso se né andato… ” La polenta era sul tavolo ogni sera, se andava bene mezza pitina a testa e il vino se c’era”… Dopo esserci ben bene rifocillati ma soprattutto abbeverati, riprendiamo il cammino in salita, adesso sentiamo calore in corpo, andiamo su come treni non in velocità o forza però, ma sbuffando… forse sarà causa del vino? “Nooo non credo…” Passiamo di nuovo a fianco del piccolo borgo diroccato di Selis, che atmosfera triste… Oltrepassiamo la passerella, adesso siamo in piano, le salite sono finite e l’attenzione diminuisce, possiamo cosi parlare dell’avventura appena svolta. Siamo d’accordo tutti e due che è stata una giornata meravigliosa, pregna di emozioni, abbiamo calpestato una terra ormai purtroppo dimenticata, una terra di confine. Non tanti decenni fa animali e uomini vivevano assieme, adesso invece è tutto abbandonato forse sarà per questo che questi luoghi hanno un fascino particolare, solo sapere che erano abitati rende tutto più suggestivo e magico. Con questi pensieri, ormai al crepuscolo ci togliamo gli scarponi, saliamo in auto e Ringraziamo per questa selvaggia e meravigliosa giornata, puzziamo come due caproni (“beck ” in friulano) ma anche questo fa parte del gioco, ci sentiamo parte di questa natura, la percepiamo come una madre anziana  e benevola. Ci avviamo verso casa, con i polpacci che chiedono pietà e i muscoli delle gambe doloranti. Siamo felici per tutte le emozioni provate, ancora una volta la natura e la montagna ci hanno accolto tendendoci la mano e accompagnandoci nei loro segreti… Ci sentiamo fortunati ad aver avuto la possibilità di vivere queste emozioni in Val Tramontina, perché è straordinariamente selvatica e bella, ad ogni angolo può essere nascosta qualche sorpresa, ovviamente per gli occhi e il cuore che la sanno cogliere, è una valle tutta da scoprire e rispettare, perché la Val Tramontina è rock…

Cartina Tabacco n’ 28 sentiero 398, circa 10 ore più o meno con soste…e refosco !

Redatto con cura da Ivan Ursella

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