30/06/19
Tutte le volte che rientravo a casa dalla val Cimoliana, poco dopo Barcis e poco prima di entrare nella lunga galleria che perfora lo stomaco del monte Fara, il mio sguardo era sempre e costantemente attratto dalla visione di un monte poco distante sulla sinistra. Si staglia prepotentemente verso l’alto, quante volte ho rallentato la corsa dell’auto per poterlo osservare, sentendo il fiato sul collo degli automobilisti dietro intenti a correre e costretti a rallentare perché un tizio davanti a loro aveva frenato la loro corsa e la loro inspiegabile fretta domenicale. Nel frattempo me la ridevo perché essendo un amante della lentezza i loro improperi mi scivolavano addosso. Ma c’era un’ altra cosa che risuonava nei miei pensieri, era il nome del paese adagiato alle pendici di questo signore slanciato verso l’alto. Conoscendo la zona, si sarebbe trattato di un minuscolo paese, ma con un nome a mio avviso romantico, Andreis era il suo nome, non so perché ma questo nome aveva per me del fascino, mi ricordava spazi aperti e ampi prati da attraversare al galoppo. Forse il suo nome mi ricordava la parola nomade Andiamo, e quale miglior e significativa parola vuol sentir un amante della scoperta e della natura se non la parola “Andiamo” . Se a tutto questo ci aggiungiamo il nome che hanno scelto per il monte sopra Andreis, diventa palese e ovvia tutta la mia curiosità e il mio interesse. Si trattava del monte Castello sopra Andreis e per chi non sapesse di cosa stia parlando, basta prendere un foglio bianco e delle matite colorate, consegnarle a un bambino e digli di disegnarci un paese e delle montagne. Alla fine quando il bambino avrà finito la sua opera e ve lo consegnerà, vedrete disegnato in alto sul foglio un bel sole, da un lato all’altro montagne triangolari con una più alta delle altre, poi vedrete il verde del bosco e più in basso verso i piedi delle montagne vedrete un gruppo di casette. Ecco senza saperlo il piccolo bambino ha disegnato Andreis, il monte Castello e le montagne circostanti. Con questi preamboli ogni volta che entravo nelle fauci del monte Fara, a modo mio salutavo il monte per antonomasia, come quando, di ritorno dalla salita al monte Zerten, io e Roberto come due bambini ci soffermammo ad osservarlo. Vedevo Roberto ammaliato al cospetto del gigante, dentro di me nasceva la speranza che se piaceva anche a lui, avremmo potuto tentare di salirlo, nemmeno il tempo di averlo pensato che Roberto mi propose di salirci in cima. Non me lo feci ripetere due volte anzi, non aveva nemmeno finito la frase che gli risposi di sì, con l’aggiunta: da Andreis però. Roberto con il suo espressivo e saggio sguardo, non pronunciò parola limitandosi a osservarmi e accennando un tenue sorriso, sapevo che avrebbe accettato essendo anche lui attratto dai segreti della natura e dall’ascolto del silenzio che solo lei sa donare. Due domeniche dopo, purtroppo per causa mia partivamo molto più tardi del solito, alle sette e trenta, probabilmente nessuno dei due era mai partito così tardi ma si sa come si usa dire a chi non è in pensione, il lavoro prima di tutto. Alle otto e trenta avevamo parcheggiato ad Andreis, presi gli zaini dal bagagliaio al volo indossati e partiti subito senza perdere tempo. Avevamo iniziato a seguire il sentiero n. 975 questo in leggera salita ci ha condotto a un bivio, noi abbiamo preso a sinistra e in breve tempo siamo arrivati a una specie di capitello votivo, qui di nuovo a sinistra in discesa per sbucare poi nel letto del torrente De li Pales. Il torrente era praticamente asciutto, dando un tocco più severo e austero a tutta la zona circostante, per comodo sentiero abbiamo incominciato a salirne il suo greto, seguendo sempre i segni bianco rossi del CAI. Continuando a salire abbiamo incontrato la prima acqua, la sua presenza e il suo suono ci rallegravano e ci tenevano compagnia, da questo punto in poi iniziavano per noi dei frequenti e divertenti guadi, da una sponda all’altra saltellando sulle pietre. Davanti a noi lassù si stagliava la nostra meta e noi due silenziosamente ci chiedevamo da che parte potesse passare il sentiero, perché da dove eravamo noi non vedevamo che strapiombi e esili cenge. Continuavamo a seguire più o meno l’andamento del torrente, finchè degli ometti posti lì di guardia, ci consigliarono di lasciare il torrente e iniziare a salire ripidamente destreggiandosi tra dei massi sulla destra e qui con nostra sorpresa abbiamo incontrato Yari, un escursionista solitario che amava in particolar modo queste zone selvagge. Dopo le dovute presentazioni e sentite le sue intenzioni uguali alle nostre, Yari divenne il nuovo membro della compagnia dell’anello…o, meglio, “del Castello”….. adesso non eravamo più in due, ma eravamo in tre e l’assalto finale al Castello ci sarebbe sembrato un gioco. Da lontano io e Yari saremmo potuti sembrare Frodo Baggins e Bilbo Baggins mentre Roberto era Gandalf, i leggendari personaggi del celebre romanzo di Tolkien “il signore degli anelli” tutti e tre con un unico obbiettivo conquistare il monte Castello. Continuando a salire attraversando esposti sentierini ormai quasi del tutto ingoiati dal torrente che scorreva molto più in basso, attraversando esposti canali friabili e destreggiandosi in divertente arrampicata su enormi massi, finchè altri omini messi di guardia ci avevano consigliato di passare nella sponda opposta del torrente in questo tratto asciutto. Qui per un tratto siamo rientrati nel bosco, alzandoci ancora di più rispetto all’alveo del Torrente. Anche da questo lato le cose non miglioravano e bisognava prestare attenzione all’esposizione e ai tratti franosi, in particolare in un tratto poco prima di un esile ed esposta cengia, siamo dovuti passare su un tratto franoso, particolarmente pendente. Salivamo destreggiandoci tra enormi massi sempre in divertente arrampicata e qualche piccolo salto, finche siamo arrivati a una bella sorgente che ci sarebbe stata molto utile al ritorno, poco più avanti la valle era chiusa da altissimi strapiombi invalicabili, ma un omino ci aveva indicato la via sulla destra tramite un esile cengetta da attraversare rinforzata in qualche punto con delle travi in legno un po’ mal concie. Siamo sbucati poi nel tratto a parer mio più particolare e selvaggio di tutta l’escursione, la pendenza aumentava, alla nostra destra e alla nostra sinistra due muri strapiombanti di roccia rendevano il tutto molto suggestivo e davanti a noi lassù ancora lontana la forcella Navalesc, sotto gli strapiombi di destra un grande accumulo di neve ghiacciata. Alle nostre spalle incassato laggiù alla fine del canalone, il paesino di Andreis con sopra di esso il monte Fara. Continuando a salire ancora più ripidamente tenendoci sulla sinistra siamo sbucati finalmente in forcella Navalesc. Da qui si apriva una favolosa visuale sui monti a nord, le Caserine alte, il Dosaip la forcella Clautana, il Resetum, ecc. continuando invece in discesa dalla parte opposta a dove eravamo arrivati noi, su un sentiero completamente diverso e più tranquillo, si sarebbe arrivati alle Tronconere e al lago di Selva. Noi invece ci siamo diretti verso destra per tracce, il sentiero CAI per noi finiva in forcella, fino in cima non avremmo trovato che qualche raro e sbiadito bollo rosso e qualche omino, dapprima in leggero traverso poi più ripidamente verso la prima antecima, da questa ci siamo calati verso nord attraversando un ripido pendio, per poi risalire un canalone erboso e sbucare su una piccola forcella. Poi attraversando mughi e qualche sperone roccioso affiorante dal pendio, faticosamente siamo arrivati all’ultima rampa che ci ha fatto sbucare finalmente sulla cima del monte Castello. Intorno a noi tutto era spettacolare, l’emozione ci abbracciava, mancava solamente che dalle cime venisse profusa la musica di una qualche opera ispirata, allora sì che il cerchio si sarebbe chiuso in un brivido. Volarono strette di mano e pacche sulle spalle poi iniziò la gara a chi indovinava i nomi dei monti attorno, ma il nostro pensiero non era tanto il nome del monte ma la vibrazione che alla nostra vista ci donava. Mentre il tempo per noi si era fermato, sua maestà il Raut mostrandoci i segreti della sua parete più nascosta ci faceva l’occhiolino, nel frattempo un piccolo falco volteggiava sopra le nostre teste potevamo sentire il rumore provocato dal suo volo contro il vento. Dopo una breve sosta abbiamo ripreso gli zaini e iniziato a scendere cercando di seguire le tracce lasciate durante la salita.
In breve tempo eravamo di nuovo alla forcella Navalesc, da qui faceva quasi impressione la pendenza del sentiero che avremmo dovuto rifare per rientrare. Con calma abbiamo iniziato a scendere, ci attendeva una lunga tortuosa e impervia discesa, ma il nostro pensiero era arrivare al più presto al cumulo di neve. Le nostre scorte d’acqua stavano per finire e quel poco che ne avevamo era calda. Giunti al mucchio di neve, ci siamo fiondati sopra pulendo e rompendo dei pezzi per poi succhiarla. Rinfrescati e riempite le borracce di granita naturale, siamo ripartiti sapendo che nel giro di qualche ora saremmo arrivati alla sorgente, raggiunta anche questa, come dei bambini abbiamo iniziato a giocare tirandoci acqua addosso. Un bel momento di spensieratezza racchiusi tra vertiginose pareti strapiombanti accanto a una sorgente che sgorgava dalla roccia, noi continuavamo a girarci attorno cercando di immagazzinare tutto quello che ci circondava, profumi mai sentiti di chissà quali piante, e poi i raponzoli di roccia qua e là, un posto incantevole e colmo di pace. Ripreso il cammino questa volta con maggiore lentezza ci siamo avviati verso l’ultimo lungo tratto che ci rimaneva ancora da percorrere prima di arrivare all’auto. La stanchezza cominciava a fare capolino, era stata una giornata stupenda in un luogo superbo per la sua selvaggia bellezza, tanto che arrivando all’auto non si proferiva parola, ma ci si girava all’indietro per scrutare ancora con gli occhi di un bambino il magnifico e misterioso Castello là su lontano dopo forcella Navalesc. La nostra escursione stava volgendo al termine , non prima però di aver messo in ordine le matite colorate e ripiegato nello zaino il nostro disegno.
Cartina tabacco 021
Redatto con cura e dedizione da Ivan Ursella
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