La parte alta della Val Fisar l’avevamo attraversata qualche anno fa rimanendo affascinati da quanto era impervia e selvaggia. Eravamo passati per la stalla di Fisar, poi eravamo saliti alla base delle rocce del m. Giavons attraversandole e scendendo in stalla Giavons. Durante questa escursione in un tratto un po’ impervio Roberto perse un rampone, non ci eravamo degnati di cercarlo, perché sarebbe stato come cercare una goccia nel mare. Era pressoché impossibile ritrovarlo in quel luogo, quindi non ci abbiamo più pensato continuando il nostro giro rimanendo affascinati da quello che la Valle ci stava mostrando. Dopo qualche settimana per vie traverse venni a sapere che una persona aveva trovato proprio sotto le pendici del m. Giavons un rampone, non potevo crederci, dovevo sapere chi era questa persona e perché era salito in quella zona. Dopo una breve ricerca in paese le mie domande iniziarono ad avere delle risposte… Il rampone lo aveva trovato un cacciatore della zona che aveva salito quel versante quasi inciampandosi sopra e una volta raccolto e messo nella bisaccia lo aveva portato a valle. Più di una volta io e Roberto eravamo tornati in quel di Tramonti per cercare di recuperare il rampone disperso, lasciato dal cacciatore in custodia a Michele della pizzeria di Redona, rimediando però solamente qualche boccale di birra oppure qualche bicchiere di rosso, ritornando mesti a casa a mani vuote. Finché dopo quasi un anno e varie scorribande in paese, a Roberto venne riconsegnato il suo rampone mancante. Questa breve parentesi del rampone, mi aveva fatto riflettere sugli abitanti della Valle, sui cacciatori e sulla Valle stessa, e sempre più cresceva in me la voglia di frequentarla, di conoscerla e di ammirarla. Cose che poi ho fatto e che cerco tutt’ora di fare.
Ed è così che sabato complice la neve caduta in quota, la nostra attenzione ritornò alla val di Fisar e più precisamente al m. Giavons, era bastato un messaggio tra me Roberto e Ivana per metterci tutti d’accordo sulla meta. Anche se verso il fine settimana il cielo sereno ci aveva mostrato la scarsità della neve sulle cime, la nostra decisione era ormai presa, anche se il monte Giavons con i suoi 1711 metri non era molto alto, noi ci saremmo saliti lo stesso. In passato mi ero sentito con Gianni Varnerin ottimo conoscitore e amante della zona, il quale mi aveva dato delle dritte su come salirci spiegandomi il percorso nei suoi punti chiave. Ai primi chiarori stavamo attraversando Pradiel a Tramonti di Sopra, diretti per comoda mulattiera alla vecchia scuola di Frassaneit. Giunti alla scuola, dopo aver aperto la porta e fatto entrare un po’ di luce nell’unica stanza, ci siamo messi in silenzio cercando di carpire nell’aria le voci urlanti a festa dei bambini che non ritorneranno; e prima che ci assalisse la malinconia e la tristezza siamo ripartiti questa volta lungo il sentiero che ci avrebbe portato alla Forca del Frascola. In alto quasi arrivati alla stalla Giavons, sapevamo che dovevamo abbandonare la comodità del sentiero CAI per entrare nel Rug del Giavons, (Rug così come chiamano i torrenti i Tramuntins). Lasciando il sentiero CAI entravamo in punta di piedi nell’avventura e da questo momento l’attenzione doveva crescere. Subito si pararono davanti a noi dei grossi massi da risalire e successivamente altri pronti a farsi salire e avanti lungamente in salita fin quasi al suo apice dove il Rug del Giavons sbatteva contro la parete rocciosa. Davanti a noi si apriva una tetra e scura claupa (grotta) con l’entrata rettangolare, sopra di lei le pareti a sud del m. Giavons. Rasentando la parete, su ripido pendio erboso abbiamo attraversato per un breve tratto verso sinistra fino ad uno spigolo roccioso, aggiratolo siamo entrati in un canale che si restringeva di molto verso l’alto. Risalito il canale un grosso masso ostruiva il passaggio, a sinistra di questo però una bella paretina non molto lunga e ben appigliata ci ha fatto scavalcare l’ostacolo con una divertente arrampicata. Da sopra il masso continuando sempre a procedere dentro il canale siamo arrivati a una piccola forcella, da questa seguendo il filo di cresta verso destra, un po’ per mughi un po’ per rocce siamo arrivati in breve sulla cima del m. Giavons. La giornata era limpida e molto bella, quindi lo sguardo spaziava dal luccichio del mare, alle Dolomiti con indosso il loro vestito bianco invernale, i monti attorno a noi invece sembrava ci stringessero in un abbraccio. Seduti sulla cima complice la piacevole temperatura e la fatica della salita appena effettuata ci saremmo crogiolati al sole per ore, però sapevamo che il ritorno sarebbe stato lungo, quindi era meglio dopo un ultimo sguardo attorno ripartire. Nessuno dei tre voleva rifare lo stesso sentiero dell’andata, ci attirava molto di più scendere verso il pianoro di malga Chiampis facendo una specie di anello. Quando stavamo arrivando in cima avevamo notato un largo e ripido ghiaione che scendeva in versante nord verso il pianoro della malga, ci siamo quindi portati al suo inizio, e aiutandoci con i mughi abbiamo iniziato lentamente a scendere. In breve, il largo ghiaione si era ristretto a tortuoso canale, e anche in questo caso come nel versante a sud un grosso masso era incastrato, lo abbiamo passato scendendo su dei semplici salti alla sua sinistra. Ancora qualche metro e la tortuosa parete sinistra del canale finiva lasciando spazio a un pendio di erba e mughi. Da questo punto vedevamo benissimo la casera, ma vedevamo altrettanto bene anche la Forca del Frascola un po’ più in alto a sinistra. Valutando bene il percorso, cercando il più possibile di non perdere quota, lungamente abbiamo attraversato il tormentato pendio sbucando sul sentiero CAI proprio dove c’era l’incrocio tra il sentiero che dalla Forca porta in Chiampis, con quello che sale verso il monte Frascola. Le grosse difficoltà erano finite, adesso dovevamo risalire in Forca e scendere lungamente per l’interminabile sentiero di stalle Giavons, Frassaneit, Pradiel sentiero che tutti e tre conoscevamo per averlo già percorso varie volte, però questa volta lo avremmo fatto in un modo diverso, completamente al buio, perché il sole a breve sarebbe tramontato. Mentre scendevamo, gli ultimi raggi del sole doravano le pareti dell’Aquila del Frascola, impreziosendola e donandole un aspetto ancora più regale di quello che lei ha già di suo. Sembrava che ad ogni passo diventasse sempre più buio, anche i rumori del bosco stavano cambiando, gli animali notturni iniziavano a prendere possesso dei loro spazi. Noi invece in fila uno dietro l’altro, con le pile frontali accese procedevamo lenti, cercando il più possibile di non disturbare e di non lasciare tracce del nostro passaggio. Senza quasi accorgercene eravamo di nuovo alla vecchia scuola di Frassaneit, questa volta non abbiamo aperto la porta, ma consegnato le nostre voci al bosco e al vento. Chissà quante persone in passato saranno passate su questo sentiero che da Frassaneit porta a Tramonti, e adesso noi eravamo a fianco di queste anime. Il chiarore delle molteplici stelle illuminava i profili del Col di Luna e del Pizzo Lovet, il Meduna più sotto accompagnava con la sua eterna e perpetua cantilena noi tre che ci avviavamo verso la fine della nostra avventura in Valle. In conclusione, ho tirato apposta questo racconto per le lunghe che non ritengo una relazione tecnica di salita, perché quelle le lascio a chi è capace di farle, tra le righe credo si riesca a carpire che non è una semplice passeggiata, perché per un lungo tratto non si trovano segni convenzionali, ometti o cose del genere, la breve parete da risalire richiede l’utilizzo delle mani e assenza di vertigini. L’attenzione e la fatica saranno ampiamente ripagate dalla bellezza selvaggia del luogo…


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