23/06/19

Era da quando ero salito sul monte Schenone e Jof di Dogna che lo avevo notato, una rapida ricerca mi aveva svelato il suo nome, si trattava del monte Scinauz.  Approfondendo la ricerca non ebbi difficoltà nel trovare la storia e il motivo di quei fabbricati sulla cima, la cosa che mi aveva colpito di più era quello strano tunnel  o budello che collegava una casupola a un’altra posta più a nord. La cosa interessante era che guardando la cartina, non c’erano sentieri ufficiali ma solo una traccia tratteggiata in nero, questo rendeva ancor più interessante questa montagna. Appena proposi a Roberto il mio intento di salire in cima allo Scinauz lui entusiasta mi rispose di sì, dicendomi che era da anni che questa cima lo incuriosiva. Alle cinque e trenta della domenica dopo eravamo in auto diretti al passo Pramollo, ad accoglierci al passo una fitta e fredda nebbia che quasi quasi ci faceva desistere dalla nostra intenzione. Il paesaggio era nascosto dietro le brume, ma di tanto in tanto si apriva un varco facendosi vedere per poi nascondersi di nuovo. Con noi c’era anche Giovanni e nessuno dei tre sarebbe mai ritornato indietro a mani vuote. Caricati gli zaini ci siamo diretti verso la casera Auernig attraversando la bellissima verde vallata e passando poco sotto casera For. Da questa abbiamo proseguito in direzione del monte Bruca dove bei torrioni di roccia si pavoneggiavano stagliandosi verso l’alto, attorno a noi c’era un paesaggio quasi surreale era come se avessimo attraversato un portale dove la roccia la faceva da padrona, spesso noi tre ci ritrovavamo con il naso all’ insù persi nelle strane e arcaiche  forme di questi giganti pietrificati. Lasciati alle spalle questi gridi di pietra ci siamo diretti verso le pendici del monte Cerchio dove in discesa abbiamo attraversato un bellissimo e lussureggiante  verde pianoro con più o meno al centro di esso ciò che rimaneva della fu malga Cerchio. La nostra meta, lo Scinauz laggiù in lontananza, ogni tanto si mostrava in tutta la sua bellezza  ma bastava una curva o un ansa del terreno perché si occultasse  alla nostra vista, per un attimo avevamo pensato che il monte si divertisse a prenderci in giro, sembrava di poterlo toccare, poi spariva dietro un ansa per poi riapparire molto più distante di prima. Lungamente e con continui saliscendi finalmente eravamo arrivati nella vallata della malga Biffil, già fin qui si può essere soddisfatti per la passeggiata e per il silenzio che abbraccia questa magnifica valletta, la malga era una piccola perla completamente di legno adagiata su un prato costellato da migliaia di colori. Ma la cosa più impressionante era  l’abbraccio del silenzio, veniva voglia di sedersi a terra chiudere gli occhi e cercare di sentire o percepire i suoni provenienti dalla natura, quindi inspirare l’aria  fresca accompagnandola  dentro il corpo e sentire tutti i profumi da essa portati e così via cercando di calmare la frenesia dei pensieri. A noi tre sarebbe piaciuto fare questo, ma eravamo lì per un altro motivo quindi dopo una breve pausa siamo ripartiti lasciando Giovanni di guardia alla malga, lui ci confessò che preferiva aspettarci perché il luogo gli regalava una particolare pace. Se arrivare alla malga Biffil può essere considerata una lunga ma semplice passeggiata, la salita allo Scinauz dalla malga in poi non si può considerare semplice anzi, richiede concentrazione non tanto per i  vari passaggi esposti ma più che altro per l’orientamento. Certo ci sono pochi bolli qua e là che indicano la via, ci sono anche dei mughi tagliati a segnare il sentiero, probabilmente tagliati dai cacciatori che in più di qualche occasione portano fuori sentiero sugli strapiombi, sicuramente qui  i cacciatori celati dai mughi si mettono in posta a scrutare gli animali sul versante opposto.  Quindi con le orecchie dritte e con il naso a fiutare i passaggi migliori abbiamo risalito ripidamente anche l’ultimo canalino, sbucando tra un mare di mughi più o meno sulla selletta tra le due cime dello Scinauz. Senza perdere tempo siamo andati subito a sinistra, volevamo visitare la base ma soprattutto entrare nel lungo tunnel di collegamento. Per prima cosa siamo saliti sul tetto dove un tempo alloggiava un grande radar dell’aeronautica militare, la visuale da quassù sulle altre cime era grandiosa, io e Roberto guardavamo da una parte all’altra persi ognuno nel proprio religioso silenzio. L’attenzione però cadeva spesso sull’ enorme tubo di collegamento tanto che non avremmo avuto pace finche non avessimo varcato la soglia ed entrati dentro a saziare la nostra curiosità. Dopo essere entrati a visitare tutte le stanze e ovviamente percorso integralmente tutto l’enorme tubo siamo sbucati dove un tempo arrivava la funivia che partiva da Pontebba.

A qualche centinaio di metri distante da noi sull’ estremità opposta della cresta, si trovava la croce di vetta più bassa di dieci metri rispetto a dove ci trovavamo. La nostra curiosità era soddisfatta, adesso non ci restava che andare alla croce attraversando tutta la cresta. Sembrava una cosa facile,  ma dovevamo fare i conti con un muro di mughi in certi versi impenetrabile, tanto che in più di qualche occasione siamo dovuti ritornare sui nostri passi per cercare dei passaggi migliori, in tutti i modi i mughi cercavano di fermarci, anche tirandoci dei sonori schiaffoni  con i loro rami in faccia. Giunti alla croce ci sentivamo più a nostro agio, ci sentivamo più liberi rispetto a dove eravamo poco prima, ci guardavamo attorno immersi nella libertà del vento, ma quando lo sguardo si posava sulle opere militari, di scatto si voltava allungandosi all’orizzonte. Tra le pietre sotto la croce era nascosto il libro di vetta, aprendolo siamo stati deliziati dalla lettura di una stupenda poesia che ci ha fatto volare lontano, in una paginetta abbiamo messo la data e le nostre firme, un ultimo sguardo attorno e siamo ripartiti per il rientro, per scelta nostra non siamo ripassati sui passi fatti all’ andata, ma abbiamo fatto a modo nostro, a vista senza sentiero obbligatorio. Come al solito io e Roberto camminavamo un po’ distanti l’uno dall’altro, questo per abbandonare le chiacchiere e immergersi  ancora di più con la Natura attorno, o per cercare di rivivere le emozioni provate durante la giornata. Mi ritornò in mente tutta la lunga e quasi interminabile strada fatta al mattino, dal passo Pramollo alla malga Biffil, i vari scenari che avevamo attraversato, i Torrioni del monte  Bruca, i boschi e le vallate, e tra queste il monte Scinauz che come un miraggio appariva e scompariva prendendosi gioco di noi. Continuando lungamente a scendere con la dovuta attenzione, finalmente varcavamo il prato della malga Biffil, Giovanni ci accolse con uno splendido sorriso riempiendoci di domande, io e Roberto gli rispondevamo mentre guardavamo la parete dello Scinauz appena scesa. Avevamo capito fin dalla mattina che era un monte particolare, un monte con un anima sua, un monte con una personalità tutta sua. Certo adesso rilassandomi avevo capito, lo Scinauz era stato mutilato e militarizzato per anni e adesso abbandonato all’oblio del tempo, tant’è che pian piano si sta lasciando cadere a pezzi, forse anche perché si sente tradito dall’abbandono. Con questi pensieri che giravano per la mia mente presi la decisione che non avrei fatto nessuna relazione riguardante la salita, perché altrimenti mi sarebbe sembrato di violare ancora il suo dignitoso e triste riserbo, così chi in futuro vorrà salirlo sarà libero di cercare i segreti incogniti della via e verrà accolto benevolmente dalla sua panoramica cima. Spensieratamente sotto un limpido sole, tra risate silenzi e sospiri, siamo  arrivati al passo  Pramollo dove la mattina avevamo parcheggiato. Mancava ancora una cosa per chiudere degnamente questa giornata, una tappa nella prima osteria dove abbiamo brindato alla libertà riconquistata dello Scinauz…  

Cartina Tabacco n’ 018

Redatto con cura da Ivan Ursella

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