16/07/19

La calura di questi giorni si faceva sempre più spazio, così per cercare un po’ di refrigerio e freschezza, con Dino e Roberto si era deciso di salire in alto. In una regione come la nostra non è sempre facile scegliere una cima quando si è più di uno e andare tutti d’accordo, invece tra noi tre vige il piacere di stare all’aria aperta e in compagnia, non importa se la cima è prativa, rocciosa o boscosa, importante è andare. Era più o meno quell’attimo che il giorno dà il ben arrivato alla sera formando  quella luce strana verso all’orizzonte, i fotografi la chiamano luce blu, il muezzin nei paesi musulmani in cima al minareto avrebbe chiamato i fedeli per la preghiera serale. Mi trovavo in riva al mare ad ascoltare il suono delle sue onde infrangersi verso la spiaggia, quando mi arrivò un messaggio sul cellulare, era Roberto che con semplici parole scriveva: domani vieni sul monte Miaron? Non mi posi il problema di sapere dove si trovava il Miaron, nemmeno a che ora Roberto voleva partire, risposi solamente con l’avverbio “ certamente”. L’indomani mattina alle 6 e 30 io, Dino e Roberto parcheggiavamo al Passo della Mauria pronti a prendere il sentiero che per carareccia ci avrebbe portato al ricovero Miaron. Eravamo immersi nella nebbia tutti e tre con indosso le felpe, se avessimo avuto con noi berretto e guanti li avremmo indossati sicuramente tanto la temperatura era bassa. Salivamo un po’ perplessi, la nebbia non dava segno di volersene andare non sarebbe stato saggio e sicuro salire con cima con quelle condizioni, inaspettatamente abbiamo oltrepassato la linea di confine tra la nebbia e un sole lucente, apparendoci ai nostri occhi tutta la magnificenza montuosa che ci circondava. La visione ci fece ammutolire, le montagne patrimonio dell’Unesco, apparivano e galleggiavano su questa coltre bianca e un cielo blu chiudeva la cornice. Svariato tempo abbiamo perso ad ammirare tutto questo saltando di cima in cima, poi mentre il sole si faceva largo tra gli alberi regalandoci bei giochi di riflessi tra luci e ombre, abbiamo ripreso il cammino verso il vecchio fortino Miaron ora una parte adibita a ricovero. Dallo spiazzo del rifugio, il monte Miaron lo vedevamo slanciarsi verso l’alto, la giornata era stupenda con un sole accecante che ci faceva socchiudere gli occhi, il silenzio e l’aria frizzantina ci avvolgevano  nel loro mantello facendoci sentire un tutt’uno con il posto. Il sentiero che dovevamo risalire, il 327 partiva al lato opposto al rifugio, faticosamente lo avevamo risalito arrivando sotto un conoide franoso che partiva dalle rocce. Dovevamo attraversare sulla destra questa ripida e impervia frana, composta da un ghiaino molto compatto e pendente che non permetteva una sufficiente presa per gli scarponi e le bacchette. Avevamo capito dai bolli rossi posti sulle rocce sopra la frana che il sentiero una volta era molto più in alto, avevamo provato in più punti ad attraversare, ma nessuno dei tre se la sentiva.

Ispezionando l’immensa parete sopra di noi, alla nostra sinistra, su in alto, avevamo notato un vistoso bollo rosso, allora su ancora fino a raggiungere il bollo, poi tra ripide ghiaie entravamo in una gola che non ci permetteva di continuare la salita, iniziavamo a sconfortarci. Eravamo in un posto a noi sconosciuto e molto più grande di noi, il panorama comunque continuava a rapirci finchè, scrutando il versante opposto alla frana, ci era sembrato di vedere un piccolo corridoio tra i mughi. Adesso iniziava ad esserci chiara la via di salita purtroppo modificata dal tempo, dovevamo scendere di nuovo al rifugio e prendere il sentiero Olivato, sicuramente un bivio sulla sinistra ci avrebbe fatto entrare nel corridoio di mughi portandoci alla base della gola da risalire. Avevamo visto giusto adesso dovevamo solo risalire di nuovo ripidamente fin sotto le rocce e raggiungere l’entrata della gola, con il cuore a mille per lo sforzo e per il dislivello entravamo finalmente nel ghiaione interno alla gola. Eravamo indietro di un’ora sulla tabella di marcia e le difficoltà vere dovevano ancora iniziare, il ghiaione dove ci trovavamo era molto ripido e faticoso da risalire comunque sempre guidati da enormi bolli rossi sulle pareti, circa a metà canalone dovevamo salire sopra un salto di qualche metro attrezzato con cavo, e poi risalire faticosamente ancora ghiaione fino a una forcella sospesa tra versanti franosi. Chiusi fra alte rocce il panorama che si palesava davanti era molto suggestivo e insolito, sulla sinistra una traccia si alzava ad aggirare tramite esile ed esposta cengetta, il fianco del monte, con cautela ed attenzione l’avevamo percorsa tutta arrivando ad un angolo dove oltre il quale una sporgenza della roccia obbligava il proseguo a quattro zampe, eravamo arrivati al famoso passo del gatto, una cengia stretta e lunga qualche metro di ghiaino mal fermo, una mano posata internamente verso la roccia, i sassi che spingevano verso le ginocchia, lo zaino che grattava sulla parete soprastante e un piede al limitare della cengia quasi nel vuoto, un vuoto silenzioso e tetro di parecchi etri,  consigliavano di rimanere concentrati. Il bello di questi passaggi è che svuotano la mente dai pensieri, rapiti dall’impegno nel superare l’ostacolo creando così silenzio e pace mentale… Dopo il passo del gatto dovevamo attraversare ancora un breve tratto di cengia e poi finalmente sbucare sulla cresta, il panorama da qui era nientemeno che fantastico, per roccette e gradoni erbosi con una semplice e divertente arrampicata sul primo grado esposto raggiungevamo la cima. Finalmente zaini a terra, festa e strette di mano e, dopo l’iniziale euforia, ognuno a scrutare il panorama perdendosi lontano tra le cime attorno. Le Tre Cime, l’Antelao, il Cridola, la pianura friulana e la Valle del Cadore, più una marea di altri nomi e cime, da scrutare, osservare e sognare. Il cielo Terso, il sole splendente e caldo sulle spalle tanto che in breve tempo ci aveva asciugato le magliette madide di sudore, tre escursionisti in cima al Miaron che sono sicuro, non avrebbero voluto essere da nessun altra parte. Però come in tutte le belle favole, ad un tratto ci si avvicina alla fine e per noi al rientro. Così, raccolti gli zaini iniziavamo in fila uno dietro l’altro guardandoci attorno a ripercorrere la via dell’andata, arrivando in breve tempo al ripido ghiaione e al salto attrezzato, per poi di nuovo scendere il ripido ghiaione. Bastava sollevare le punte degli scarponi per iniziare a essere trasportati dal ghiaione verso valle cercando di rimanere in equilibrio, eravamo tre bambini sullo scivolo, il momento ci ripotava indietro di parecchi anni e il divertimento si mescolava alla nostalgia…. Per ritrovare il sorriso ci bastava sollevare gli occhi e guardare verso valle cercando di superare il compagno che  stava scivolando di fianco a noi. Usciti  dal ripido ghiaione ed entrati nel corridoio di mughi, ripidamente su terreno morbido e scivoloso, arrivavamo prima sul sentiero Olivato poi al rifugio Miaron. Con gli zaini a terra, ci siamo  voltati a guardare il monte appena salito: da questo punto sembrava impossibile da salire senza attrezzature. In realtà bastava salirlo con umiltà e rispetto perché lui si aprisse e ci accettasse facendoci vedere i suoi punti deboli lungo la salita. Ritornati poi a valle per la stessa strada percorsa alla mattina,facevamo tappa nella prima osteria per festeggiare la stupenda giornata e la conquista del monte Miaron parlando delle emozioni provate durante la salita a suon di birre…

redatto da Ivan Ursella

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