22/02/2020
Per iniziare a raccontare questa storia devo tornare indietro di una ventina d’anni, a quando lavoravo con una ditta che si occupava di scavi e sistemazione dei fiumi. Ero alla guida di un grosso escavatore cingolato e mi avevano affiancato un operaio taciturno con lo sguardo severo: in un’intera giornata forse riuscivo a cavagli tre parole. Nessuno voleva lavorare con lui e tutti lo temevano. I giorni passavano e il clima tra me e lui rimaneva sempre freddo per non dire ghiacciato, l’aria per me iniziava a farsi pesante, dovevo trovare il sistema non dico di farmelo amico, ma almeno di starci bene durante le ore che passavamo assieme. Istintivamente mi venne l’idea di fargli dei piccoli scherzi, per esempio quando era vicino all’acqua raccoglievo con la benna del mio mezzo un po’ di sassi, per rovesciarli poi ad un’altezza tale che gli schizzi lo bagnassero. Ovviamente in quelle occasioni il mio nome echeggiava per il torrente seguito da qualche innocente bestemmia, oppure quando appoggiava la sua giacca a terra sull’argine e io me ne accorgevo, sempre con la benna raccoglievo un mucchio di terra e la rovesciavo sulla sua giacca (chiaramente non sarebbe saggio per ovvi motivi scrivere qui gli epiteti che mi rivolgeva urlante). Fatto sta che, francamente, io mi divertivo, perché era una persona dura tutta di un pezzo che piuttosto di piegarsi si sarebbe spezzata, insomma era un Carnico doc uno di quelli che come si dice oggi: “era di una volta”. I giorni passavano e il clima fra me e lui, vuoi per rassegnazione sua ai miei scherzi, iniziò a scaldarsi e dopo qualche settimana diventammo amici. Lui era di Raveo e amava la sua zona, soprattutto la zona di Pani, e quando ne parlava era come sentire un innamorato che parlava della sua bella con lo sguardo rivolto verso l’infinito… Più volte mi aveva raccontato la storia di Antonio Zanella il famoso Ors di Pani, e di quando i cosacchi pronti a passarlo davanti al plotone di esecuzione perché sospettato di aiutare i partigiani, all’ultimo momento lo graziarono donandogli un colbacco bianco, una delle più alte onorificenze cosacche. Sempre parlando di Pani, mi raccontò un giorno la storia di due innamorati Mirko e Katia uccisi per mano di chi credevano condividessero le loro stesse idee…. il fatto triste che si scoprì poi era che Katia era incinta.
Le mani assassine, non ebbero il coraggio poi di seppellirli ma li lasciarono sul posto dove il loro sangue colorò di rosso la neve. Fu l’Ors di Pani a trovarli mesi dopo e con una squadra di uomini li portarono in paese. Negli ultimi anni, di tanto in tanto questi racconti mi tornavano in mente, complice sicuramente le letture di autori che mi portavano a conoscenza dei fatti successi non molti anni fa sul nostro territorio. Iniziai così a focalizzare la mia attenzione sulla zona di Pani e sulla possibilità di andare a visitare questi luoghi, non fermandomi solamente al famoso e solitario albero diventato una famosa celebrità, molto fotografata per la sua posizione al centro della vallata, con l’intento di esplorare al suo interno i suoi boschi, le sue aspre rupi e i suoi irti canaloni.
Avevo qualche scarno indizio, ma tanta voglia di percorrere la traccia che mi avrebbe portato all’ ultimo bivacco di Mirko e Katia passando accanto a dove furono trovati i corpi e che ora qualcuno ha messo una croce in loro ricordo. Appositamente non racconterò nulla della storia di Mirko e Katia, sperando di destare interesse almeno in una persona e che questa faccia una ricerca per colmare la curiosità che gli ho fatto sorgere… Quindi, adesso che vi ho fatto perdere un po’ di tempo e la maggior parte dei lettori annoiata dopo le prime righe con il viso piegato e illuminato dal cellulare, ha fatto scorrere il pollice sullo schermo, arrivando alle foto, e sempre con il pollice emetteva la sentenza, questa mi piace e questa no, questa sì e questa no, posso parlarvi della nostra escursione storico meditativa e magari darvi lo spunto per cercare di conoscere un fatto accaduto e tenuto nascosto per molto tempo: Dalla località Pani siamo saliti verso l’ultimo bivacco di Mirko e Katia e della loro creatura che Lei portava in grembo, dove qualcuno ha posizionato una cassetta con un diario per le firme e i pensieri di chi passa per lì, onestamente certe frasi lette ad alta voce, sono riuscite a commuovermi, dal bivacco raggiunto poi casera Avedrugno tristemente famosa per fatti di guerra e da dove dicono i testimoni siano partiti gli esecutori materiali dei due amanti e del loro figlio ancora non nato.
Un abbondante metro di neve farinosa ci ha dato filo da torcere sprofondando fino alla cintola prima di riuscire a toccare la porta della casera.
Passare l’inverno tra il 1944 e il 1945 in quelle condizioni come hanno fatto i due innamorati, dev’essere stato davvero proibitivo e per noi, anche se ci mettessimo d’impegno, inimmaginabile. Ero conscio e lo sono tutt’ora di aver violato un segreto custodito nelle pieghe della montagna, dove lo spirito dei Tre vola in Alto, libero senza più il pensiero di essere inseguito… Mentre scrivo queste frasi una nazione ha invaso un’altra e di sicuro domani ci saranno altri Mirko e Katia che giacciono a terra nell’indifferenza dei vincitori e la storia continuerà a ripetersi, e ripetersi ancora… senza che la storia insegni mai a chi non vuole imparare….
2 commenti
Donato Erba · 3 Luglio 2022 alle 21:58
Molto bello. Leggere “L ultimo bivacco” mi ha regalato un momento di serenità. Grazie
Tito Grosso · 23 Agosto 2022 alle 8:14
Chissà se il novello scrittore conosce il numero di morti che ha seminato il in Carnia il leggendario partigiano? L’inverno 44 45 è stato durissimo per tutti, non solo per chi si nascondeva nelle casere, gli altri partigiano non è che vivessero in appartamento riscaldato a Buia. Molti sono stati uccisi, altri deportati, altri torturati. Speriamo un giorno emerga la vera verità non la leggenda.